La parola “crisi”
e i segni negativi ci hanno
accompagnato per tutto il 2012 e chissà per quanto ancora ne avremmo. Uno tra
tanti è l’ultimo Job In Tourism (n. 2 del 24 gennaio) che ci propone il
consuntivo statistico del 2012 sull’occupazione nazionale delle camere divisi
per tipologia ricettiva e per aree, dove prevalgono abbondantemente i segni “meno”.
Quasi a
voler riproporre il vecchio adagio
che “non tutto il male vien per nuocere”, un altro tormentone del 2012 è stato
il concetto che la crisi è un’opportunità per cambiare e per trovare nuovi
stimoli, portando spessissimo come esempio una famosa nota di Einstein,
riproposta anche su questo blog, a dicembre 2011.
A riprova di
questo, dalla crisi italiana (non solo economica, ma anche politica)
recentemente è stato partorita una
nuova idea per il turismo, il “Piano Strategico per lo Sviluppo del Turismo in
Italia” presentato al consiglio dei ministri il 18 gennaio scorso.
Che c’era
aria di novità sul tema del turismo tra le istituzioni nazionali, se n’era
avuto sentore già al BTO 2012, con il neo direttore dell’Enit, Andrea Babbi,
presente solo per ascoltare, oppure
con la conferenza stampa di dicembre in cui si presentava il nuovo Enit (e quindi la bozza di Piano sul
Turismo) che andava (udite, udite!) su Twitter (#nuovoEnit2013, vedi anche Turismo e Finanza). Nella stessa
conferenza si annunciava anche la nuova versione di Italia.it (alleluia, alleluia!), graficamente più apprezzabile,
meglio navigabile e aperta ai social.
Il Piano
Strategico, “Turismo Italia 2020”,
evidentemente è il risultato finale del percorso istituzionale del ministro
tecnico che lascia una eredità tutta da sfruttare al prossimo governo.
Difficile dare
un giudizio sul piano, soprattutto
perché non si può confrontare con altri - per certi versi già questo è un
aspetto positivo. Come scrive il ministro Gnudi in premessa: “Condizione indispensabile per un rilancio del settore è un radicale
cambiamento nell’approccio ai problemi del turismo, che nessun Governo ha mai
messo al centro della propria agenda. Il turismo non è mai stato considerato
come un investimento su cui puntare per lo sviluppo del Paese. Un esempio per
tutti: nei vari piani per la crescita del Mezzogiorno varati dai governi, il
turismo non ha mai avuto un ruolo rilevante.”
Il turismo in Italia (col suo 9% di
produzione rispetto al PIL, i suoi 2,2 milioni di addetti, col suo immenso
patrimonio culturale e ambientale) è un po’ come quello studente che ha grandi potenzialità ma studia poco e si
accontenta della sufficienza.
A riprova di
questa “svogliatezza” ci sono
arrivati anche i risultati del Country Brand Index 2012, dove la reputazione
del paese Italia in termini di turismo, food, arte e cultura risulta prima, ma
scende al 15° posto quando si fa la classifica della reputazione generale. Ma soprattutto non riesce a stare al passo
dei paesi concorrenti nella spartizione del mercato turistico, come indicato
nell’analisi dello stesso Piano Strategico:
“negli ultimi anni il settore turistico
italiano ha perso quota di mercato a livello mondiale: dalla prima posizione
occupata a livello europeo all’inizio degli anni Ottanta e ancora verso la metà
degli anni Novanta, oggi è soltanto terzo (dietro a Spagna e Francia). Una
certa diminuzione della quota di mercato è da considerarsi fisiologica, specie
in relazione alla crescita dei mercati extraeuropei, ma nel caso dell’Italia
questo calo è stato superiore a quelli dei competitor diretti”. Il sistema turistico italiano perde terreno in
diversi ambiti, ma salta all’occhio che veniamo superati anche nel segmento del
turismo religioso in Europa (un
volume di affari intorno al 7,5 miliardi di euro) dove l’Italia detiene il 30%
del mercato, ma in seconda posizione, superata dalla Francia: Lourdes batte il
Papa, 1-0!
Comunque già
aver definito un percorso con degli
obiettivi precisi per recuperare le posizioni nel mercato turistico mondiale, è
un grande passo in avanti per il
nostro governo. Tuttavia, senza entrare nei dettagli, altre due cose mi hanno
colpito di questo documento.
Nella
semplice e logica metodologia adottata (analisi del mercato, individuazione
delle criticità e azioni di intervento), l’individuazione dei problemi e delle
soluzioni che attanagliano il nostro sistema turistico possono rappresentare una notevole parte di programma di governo per qualsiasi
coalizione si candidi a governare l’Italia. Del resto si vota a fine febbraio e
quale migliore occasione è avere in mano questo documento.
Il turismo è
materia trasversale, interessa
tantissimi ambiti e quindi quando (da pagina 29 a 35) il piano tocca ad esempio i temi dei
trasporti e delle infrastrutture elencandone le debolezze, oppure la bassa
propensione degli investitori esteri, oppure la necessità di sburocratizzare, affronta
contestualmente problematiche che interessano tutto il sistema-Italia. E
migliorare la qualità della vita dei propri abitanti, significa migliorare
anche l’ospitalità dei turisti.
La seconda
cosa che mi ha colpito e che, in qualche modo, vuole rappresentare l’aspetto “fattivo”
del piano è una frase: “far accadere le
cose”. Questa brutta espressione viene usata solo tre volte, ma è il
segnale, insieme alla metodologia adottata, di come ci si preoccupi che, alla
fine di questa nuova architettura che
si offre all’organizzazione del turismo in Italia, ci sia poi qualcuno che le
metta in pratica. Vengono infatti
definite 61 azioni concrete distinte
per area critica di intervento, per tempi di realizzazione e per valore
economico, che hanno lo scopo di costruire una ad una lo sviluppo del sistema
turistico di qui al 2020. Nel riepilogo finale si fa anche una sorta di cronoprogramma di tutte le azioni.
Viene quindi
disegnata una strada che va naturalmente monitorata
(lo stesso piano propone un aggiornamento ogni due anni), ma si propone dei
risultati, forte del fatto che ogni singola azione possa anche da sola dare i
propri frutti. Sembra quasi voler
dire: “dalle parole ai fatti”.
Riusciranno i nostri eroi…..?
Commentate pure, meglio però se non
siete d’accordo
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