martedì 18 novembre 2014

Turismo e Made in Italy, ancore di salvezza

Sembra il solito mantra retorico, eppure lo dicono tutti, in particolare i consumatori globali, che il Made in Italy e l’accoglienza del nostro paese sono valori unici e irreplicabili, i quali, se ben sfruttati, sarebbero il miglior volano di sviluppo possibile.

Tuttavia è quanto si deduce mettendo a confronto due ricerche, pure se dalle diverse caratteristiche e dalla differente valutazione finale del nostro status attuale.

Partiamo da quella che offre il risultato peggiore, il Country BrandIndex 2014/2015. La ricerca svolta da FutureBrand deriva dalla elaborazione, qualitativa e quantitativa, di risposte a questionari di 2.530 opinionisti e viaggiatori d’affari o per piacere, e determina la classifica della reputazione di 75 paesi. Quest’anno “vince” il Giappone, mentre l’Italia perde tre posizioni rispetto all’anno passato e si colloca al 18° posto.


Ormai la perdita di posizione nelle varie classifiche che spesso gli organi di informazione ci leggono non è più una notizia. Purtroppo.
Andando un po’ più nel dettaglio della ricerca, ci salviamo, anzi siamo primi, nelle sotto-classifiche relative al Turismo e al Patrimonio artistico e culturale. Nelle altre (Sistema di valori, Qualità della Vita e Potenzialità per il Business) non ci affacciamo nelle prime, considerate le nostre svariate problematiche come sistema-paese; lo stesso accade riguardo al parametro del “Made In”, in pratica la percezione di brand relativa all’origine delle merci prodotte in quel determinato paese, in base alla loro autenticità, unicità, qualità e forza nel creare un desiderio di acquisto nel consumatore.
Risultato quest’ultimo preoccupante, che scalfisce anche le nostre sicurezze nel Made in Italy.



Al contrario, invece, di quanto avviene nel “Rapporto sulla percezionedell’Italia turistica” a cura di Antonio Preiti (Sociometrica/Expert System, luglio 2014).
Questa ricerca si basa sull’analisi semantica di 570.000 post in lingua inglese pubblicati sui social media tra marzo e luglio di quest’anno da parte di turisti. In pratica il “passaparola online”, senza limiti, spontaneo e libero di ospiti (di lingua inglese) che hanno avuto un’esperienza di viaggio nel nostro paese, che la attuale tecnologia permette di dare un ordine e una sistematicità così da poter dar sintesi a cosa dicono di noi. E fondamentalmente ne dicono bene.


Dal rapporto si desume infatti che l’Italia turistica vince sull’Italia in generale: alla prima vengono attribuiti 77 punti su una scala di 100, mentre alla seconda 64.


Interessante vedere cosa piace in particolare: il mondo del cibo e del vino è al primo posto, segue l’Italia urbana delle piazze e l’Italia naturalistica delle spiagge. Nei posti immediatamente sottostanti di questa speciale classifica ecco lo shopping, grazie al “made in italy” della moda e dell’artigianato, e quindi i bar come ulteriore e particolare indicazione della grande famiglia della cucina.

Ma più interessante andare a capire in cosa pecchiamo. Laddove il rapporto tratta della percezione della qualità dei servizi, l’indice di valutazione si abbassa, pur non sprofondando, ma emergono con più forza alcune criticità.
In particolare la ricettività ottiene la miglior considerazione da parte dei turisti, pur difettando nei prezzi eccessivamente alti rispetto a quanto promesso ed offrendo meno dell’indicato dalla categoria d’appartenenza. A pari posizione i musei, ovviamente per il “prodotto” unico che offrono, ma con problemi legati ai servizi che non ne permettono una soddisfacente fruizione. Treni, aeroporti e taxi possono formare un tutt’uno legato ai trasporti dove i nostri turisti riscontrano i principali problemi.


Emerge quindi un paese bellissimo da visitare, perché l’esperienza soddisfa quello che è il sogno che si fa prima di partire, col rischio tuttavia di vederlo infranto a causa di servizi non adeguati, spesso non da paese europeo. Un rischio forte, perché, come giustamente si afferma a premessa del ranking specifico delle destinazioni turistiche, il turista valuta in base all’esperienza che riservano, o almeno hanno riservato in specifico a coloro che sono stati in vacanza e vi hanno dedicato un post. Non è un giudizio oggettivo, semmai ce ne potesse essere uno sull’estetica, ma è la sommatoria di giudizi soggettivi, che ha una forza oggettiva clamorosa. D’altro canto i turisti, gli ospiti di una località, sono dei soggetti, hanno un’esperienza e su questa base si fanno un’idea e poi la esprimono. Questo dato è preziosissimo, perché ogni valutazione, che vorrebbe essere oggettiva, si scontra con la scelta dei criteri da adottare e sulla titolarità di chi li esprime. Ma il turismo non è valutazione paesaggistica, non è storia dell’arte, non è un esame dell’organizzazione logistica di un luogo, ma esperienza soggettiva e come tale valutata. Si tratta di rimettere il turismo, l’esperienza turistica, sui suoi piedi, che sono esattamente quelli dei turisti. È un dato prezioso, perché si ascolta la voce dei protagonisti, di quelli che acquistano i servizi e che poi effettivamente li utilizzano.
Per la cronaca lo scettro di questa speciale classifica va a Taormina.


Nel tirar le somme i due report sopra descritti, con tutti i limiti che si vogliono e pur con la differente valutazione del “Made in Italy”, offrono la stessa lettura del sistema-paese: risorse che rappresentano un unicum nel mondo, che non possono essere copiate o surrogate, ma che non riescono a diventare fattori produttivi (quando non riusciamo a depauperarli irrimediabilmente) per l’industria dell’ospitalità e per la nostra economia.



Commentate pure, meglio però se non siete d’accordo

sabato 15 novembre 2014

#BMO14: la Maremma del turismo online

Completa in ogni ordine di posto la sala dell’hotel Airone di Grosseto lo scorso 12 novembre in occasione del Buy Maremma Online, un incontro organizzato da Officina Turistica e finalizzato alla presentazione di un’indagine sul comportamento degli operatori turistici maremmani rispetto agli strumenti commerciali online.

Prima di arrivare al dunque, si sono succeduti gli interventi di Mirko Lalli e Giancarlo Carniani in differita dalla Procus Wright Conference in California a illustrare la prima giornata della conferenze, del direttore responsabile di turismo.intoscana.it, Vincenzo De Crescenzo, e di Joseph Fratangelo, Senior Sales Executive, Destination Marketing Italia per TripAdvisor, a raccontare le tendenze di comportamento dei turisti secondo il TripBarometer (e a far scoprire cos’è questo strumento gratuito del Gufo). Questa la formazione, a conferma che si è trattato di un buon antipasto del prossimo BTO di Firenze.
Tra l’altro, un mese prima già la Maremma era stata sede di una preview della due giorni fiorentina, a testimonianza del forte interesse del mercato online e anche del nuovo spirito con cui gli operatori (almeno alcuni) affrontano da qualche anno a questa parte i temi della commercializzazione turistica.

Evitando la cronaca dell’incontro, due sono i messaggi da sottolineare in particolar modo.
Il primo viene dalla Regione Toscana, che, dai numeri forniti durante la presentazione, continua regolarmente l’opera di promozione online sia attraverso le pagine web che attraverso i canali social, curando gli aspetti legati ai tematismi offerti dal territorio in base al mercato straniero.
Un’opera in tendenziale aumento – così pare – sia dal lato dei contenuti, sia dal lato delle interazioni con i visitatori del sito o con i follower dei social: il confronto infatti è stato fatto tra il III trimestre e il II trimestre 2014 (e non tra periodi di anni diversi…).
Più interessanti le performance del bookintoscana, il sistema di prenotazione gratuito offerto dalla regione alle aziende ricettive. Il sistema è cambiato molto nel tempo grazie ad una diversa organizzazione delle informazioni e quindi anche dei filtri che l’utente può utilizzare per affinare la ricerca. Ma quanto è usato dai visitatori di turismo.intoscana? Poco più di 60.000 i visitatori unici (da gennaio) con “solo” (?) il 57% di tasso di rimbalzo. (Solo? L)




Poco propensi ad utilizzarlo sono sicuramente gli operatori se si pensa che ancora soltanto poco più del 18% lo hanno attivato in uno dei tre profili. Tra l’altro uno di questi consente di interfacciare il proprio booking engine direttamente su bookintoscana: in pratica il visitatore della pagina regionale potrebbe prenotare direttamente sul sistema dell’hotel prescelto. Di questa possibilità solo 70 in tutta la Toscana ne hanno approfittato e 11 nella nostra provincia. Pochini. Anzi, niente se si pensa a quanti sono registrati nei portali dove invece si pagano le commissioni.
Sarà che la gratuità non basta a incentivare lo sfruttamento di questo mezzo; insomma potrebbe essere utile conoscere che volume di affari fa girare il mezzo alle aziende che lo utilizzano. Ma non è dato saperlo.
E a pensar male…..si resta dell’idea che l’avventura nella commercializzazione non sia una conveniente opera per gli enti pubblici.

Infatti, già i privati fanno fatica a far bene la vendita online, come ci ha mostrato l’indagine di Officina Turistica, figuriamoci il pubblico.
Il test fatto su 50 operatori maremmani inconsapevoli ha messo alla luce pregi e difetti, errori e qualche virtuosismo della nostra provincia.
Se questo numero fosse un buon campione atto a rispecchiare tutto l’universo della ricettività provinciale, già il fatto che il 72% delle strutture ha un booking engine, sarebbe una nota positiva.
Da rivedere un po’ la strategia e la gestione delle condizioni poste nelle OTA rispetto alle offerte proposte dai sistemi di prenotazione diretta (che sia il booking online, la mail o il telefono), benché non la diamo sempre vinta alle agenzie online.
Tra l’altro confrontando le tariffe tra le OTA e i siti proprietari, i maremmani non sono i peggiori, come si vede dalle slide di presentazione.

Certo, come provocatoriamente gli autori della ricerca (Robi Veltroni e Nicola Carraresi) hanno fatto notare, se il comportamento del campione trattato si rispecchiasse su tutte le aziende, le commissioni pagate (di troppo) sfiorerebbero il milione di Euro. Peggio sarebbe se invece la metà dei potenziali ospiti, sempre a causa di errori di strategia commerciale, scegliesse destinazioni concorrenti: si perderebbero più di 48.000 presenze per un fatturato di quasi 2,8 milioni di Euro.
Un buon modo questo per attirare l’attenzione sulla mancanza di linearità nella produzione delle offerte di soggiorno che i nostri operatori hanno rispetto ai mezzi di comunicazione utilizzati. Ed ecco quindi che succede che si rischia di mandare in confusione il nostro potenziale ospite se, ad esempio, si trova di fronte una di quelle 7 strutture che hanno dato quattro tariffe diverse (una sul booking proprietario, una per telefono, una per mail, una attraverso l’OTA).

Devono infine far riflettere quelle 8 (su 50, quindi il 16%) che non hanno risposto alle mail, quelle 9 (18%) col numero di telefono errato su Trivago.it e quei 5 (su 34, quindi il 14,70%) che al telefono non hanno saputo formulare un’offerta. Considerato che la ricerca è stata effettuata in luglio, momento topico della stagione estiva, questi casi stanno a significare che c’è qualche ombra, anche abbastanza importante e assolutamente da eliminare, nell’imprenditorialità turistica locale.



Comunque una buona pratica, l’intera ricerca presentata a #BMO14 affinché gli operatori si guardino un po’ allo specchio; un po’ come studenti che, dopo aver studiato per un esame, fanno un po’ di sano ripasso.




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lunedì 10 novembre 2014

Maremma e turismo: crisi di parole.

Non che sia in atto un momento florido per l’economia e per il turismo maremmano e italiano, anzi l’esatto contrario. C’è tuttavia una crisi anche nell’uso delle parole con cui si definiscono i momenti storici, i problemi e le possibili soluzioni.
Anche lo stesso termine crisi, che mai come oggi è pieno di significato, è stato affiancato da sempre al quadro turistico maremmano, pure in periodi certamente migliori dell’attuale. A riguardare indietro, varrebbe l’adagio di quanto “si stava meglio, quando si stava peggio”.


Parallelamente al grido di dolore per la situazione di crisi, vengono a soccorrerci altre parole che hanno una loro stagionalità, quella autunnale, quando si fanno i resoconti della stagione (balneare) appena passata.

Giustamente, come fa anche il MaremmaMagazine di questo mese che riepiloga i recenti incontri sul tema svoltisi in provincia, se c’è un problema, facciamo un’analisi degli aspetti negativi e cerchiamo di valutare le azioni possibili per migliorare la situazione.
Ed ecco che ritornano le solite parole: “stagione”, con tutte le accezioni per superarla o quantomeno attenuarla (allungarla, oppure va in voga anche la destagionalizzazione); “fare sistema”, che dovrebbe voler dire dividerci i compiti che abbiamo pianificato insieme; “sinergia”, che è un po’ come il precedente; “potenzialità”, tutto quanto di bello e buono abbiamo da sfruttare; “riqualificazione” e “valorizzazione”, che si riferiscono alle risorse “potenziali”, messe da parte o sfruttate poco e male, così da trovare delle attrattività.

Probabilmente ne sfuggono altre che ciclicamente ritornano alla luce quando si parla di turismo ed anche negli ultimi convegni illustrati dalla rivista  hanno trovato il loro spazio. Del resto sono parole vuote che ne occupano poco, quindi entrano bene in qualsiasi tipo di ragionamento, col rischio che alla fine arriva la solita soluzione nel solito “portale” di informazione turistica “perché il web è la nuova frontiera del turismo”. Qualche tempo fa invece il risultato era la formazione di qualche “pacchetto” da portare nelle “fiere”.
Per fortuna, stavolta nulla di tutto questo.

A parte i giochi di parole, che sicuramente valgono per altre località italiane, segnali di diverso tono ci sono, sia in senso positivo che negativo.

Sempre su Maremma Magazine, giustamente nell’editoriale si fa riferimento ad una cabina di regia atta a coordinare una politica di promozione ed azione per il nostro territorio. Ma proprio dal lato della promozione territoriale è accaduto in questi anni tutto il contrario. A causa di una coperta sempre più corta di risorse pubbliche sono state chiuse le APT di livello provinciale per accentrare tutto su Toscana Promozione; le Provincie son state ridimensionate nelle competenze e le Camere di commercio nelle risorse. Tutto ciò col rischio che i vari Comuni, ognuno per sé potesse attivare una propria politica di promozione, ma anche qui c’ha pensato la spending review.

(nota polemica) E poi basti pensare che, in un periodo in cui si parla tanto di opendata, non si riesce a fare una cosa facile facile come quella di avere dati statistici in tempo reale sui vari flussi turistici che arrivano e pernottano nelle nostre zone, sia perché gli operatori non inviano i propri dati, sia perché non è stato approntato un sistema un tantino più efficace. (fine della nota polemica)

Mentre un esempio positivo è la rete dei Maremmans, un insieme di volontari che raccontano il territorio della provincia di Grosseto sul web.

E cioè, parole nuove, meno altisonanti di quelle di cui sopra: “rete”, non solo quella web ma anche quella associativa (offline) di soggetti che condividono le stesse passioni; “semplicità”, nell’obiettivo, ad esempio, di attivare conversazioni online sui tanti aspetti di un territorio; “conoscenza”, nel senso più ampio del termine e cioè nel senso di conoscere il territorio, di saperlo divulgare, di avere competenza negli strumenti che si utilizzano.

Del resto di quanto sia facile propagandare un luogo dove la qualità della vita è alto, era stata un’idea già espressa in queste pagine (la semplicità delturismo 2.0). Un concetto questo che vale per una destinazione come per un’azienda ricettiva, perché se la qualità del proprio prodotto è il contenuto della nostra comunicazione, i nostri ospiti sono i nostri naturali promoter. Non è il passaparola il migliore dei mezzi di promozione?

Dal lato del singolo operatore turistico privato, dobbiamo infine aggiungere altre due parole: “cultura” e “accoglienza”. Termini questi che hanno significati molto più profondi, molto più di valore, molto impegnativi e probabilmente proprio per tali motivi che c’è più difficoltà a pronunciarli.
Non c’aspettiamo che sarà un cambio di vocabolario a risolvere chissà quali problemi, ma un cambio di prospettiva, quello sì. È necessario.

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domenica 2 novembre 2014

L’economia della condivisione: da Slow Food a internet.

Il precedente post (Terra Madre e Google, la rete fisica e la rete virtuale) riproponeva il messaggio del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, alla presentazione della rispolverata Arca del Gusto in occasione dell’ultimo Salone di Torino, circa la forza e l’importanza della rete (e delle sue potenzialità politiche) insita in Terra Madre. Una rete fisica messa a confronto, ma non come alternativa, alla rete virtuale di Google e, se vogliamo, ad internet in linea generale.

La rete fisica e la rete virtuale sono due piani che si incrociano, si coniugano e creano un
formidabile sistema di comunicazione che, grazie al digitale ed alle nuove tecnologie, è in continua accelerazione; la stessa accelerazione a sua volta provocata nei processi economici, umani, culturali.
Nel caso specifico di Terra Madre, il filo che collega la rete è la difesa, la tutela e la valorizzazione della biodiversità dei tanti nodi della rete stessa (associazioni, produttori, contadini, pescatori, comunità del cibo, ecc.).

Più in generale il mondo virtuale di internet ha messo in collegamento le persone, in tempo reale: in fin dei conti si tratta di una cosa semplice che, però, ha ribaltato lo status della comunicazione. Nel marketing si è passati, in relativamente poco tempo, da una comunicazione diretta delle aziende verso il consumatore, dove protagonista era il prodotto, ad una comunicazione in cui al centro c’è l’utente ed il dialogo è alla pari. Un dialogo non più unidirezionale ma bidirezionale, o forse sarebbe più giusto dire fluido, nel senso che può essere condiviso con altri consumatori, perché non riguarda solo il prodotto e il bisogno che va a soddisfare, ma anche gli interessi, i valori e l’aspetto culturale.

Le imprese quindi si devono porre in modo diametralmente opposto rispetto a 15/20 anni fa e devono arrivare all’anima del consumatore e dei suoi interessi, anche perché egli non vuol essere più un soggetto passivo ma partecipativo al processo produttivo.
Internet e il web hanno permesso alle persone di essere protagonisti e produrre contenuti: pensiamo ai social network, pensiamo al mondo delle recensioni che possono determinare la fortuna o la sfortuna di prodotti o aziende.



Il consumatore co-produttore è anche uno dei protagonisti fondamentali della rete fisica di Slow Food e di Terra Madre, perché “nella dimensione locale il consumo diventa l’atto finale, non più separato, nel processo produttivo”. Una scelta attiva e consapevole verso un prodotto che dal campo coltivato va sulle nostre tavole è un atto politico che, nella sua semplicità, ci allontana dal giogo delle multinazionali che impongono la standardizzazione dell’alimentazione.
Co-produrre, essere co-produttori, significa far parte della comunità del cibo, insieme a chi coltiva, alleva, trasforma e distribuisce; significa condividerne le azioni virtuose e le idee di rinascita per un sistema del cibo che, tornando ad essere armonico ed equilibrato, permetta alla Terra di prosperare e rigenerarsi” (da Terra Madre, di Carlo Petrini, ed. Giunti).
Ed in questa dimensione locale il sistema economico riesce a difendere la biodiversità e quindi tutte quelle risorse naturali che hanno una propria specificità legata al territorio ed alla cultura dei luoghi e degli uomini che vi abitano. In un convegno dell’ultimo salone del Gusto c’è chi ha sintetizzato questo pensiero in “local branding contro global branding”.
La diversità e la specificità sono valori da difendere e tutelare, perché basilari per la tenuta delle economie locali.

Parallelamente, nella rete virtuale del web, dove il mercato è globale per definizione, chi vuol emergere va alla ricerca di una propria dimensione unica: è il tema della long-tail, modello economico secondo il quale le produzioni di nicchia hanno una maggiore possibilità di emergere nel mercato grazie alla minore concorrenza.
Non solo, dalla parte del consumatore l’esigenza è sempre più quella di essere parte di un’esperienza attiva ed unica, da condividere, naturalmente, in rete.

La globalizzazione della rete virtuale può quindi essere una grande opportunità per liberare le diversità e nello stesso tempo combattere i difetti della globalizzazione del sistema economico.

E’ un processo questo che, nel campo dell’online, è considerata una conseguenza del web 2.0, ma che Slow Food e Carlo Petrini dimostrano come possa essere legato a rinnovati principi di equilibrio economico mondiale grazie ad una rete fisica che li condivida.



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