Arrivano per
posta in questi giorni, dopo un anticipo per mail qualche tempo fa, i
certificati di eccellenza di
Tripadvisor alle strutture ricettive. Nello stesso tempo anche Booking.com fa
recapitare agli hotel una vetrofania con il voto medio ricevuto l’anno precedente.
Dopo un
primo momento di soddisfazione
narcisistica che ogni operatore ha nel momento in cui riceve questi attestati
di “bravura”, ci si rende facilmente conto che sono soprattutto dei mezzi di marketing per i due “colossi” del
turismo mondiale. Con la differenza che il Gufo lo fa meglio, se non altro per
l’insistenza e qualche piccola innocente…mezza verità.
Tripadvisor infatti già molto tempo prima di
inviare il cartaceo aveva inviato una prima mail ed ogni volta che l’operatore
entrava nel backoffice del sito arrivava puntuale il pop-up di avviso della
conquista del certificato. La lettera di trasmissione, poi, è eloquente:
comincia con i complimenti per la “vittoria”, quasi fosse una gara, ed invita a
promuovere questa strepitosa
conquista mettendo in bella mostra l’attestato, scaricare il distintivo
digitale e metterlo nel sito (tanto perché tutti i navigatori possano passare
dal sito dell’hotel a quello del Gufo), scaricare il “modello” del comunicato
stampa e inviarlo agli organi di informazione e condividere il tutto a mezzo
Facebook e Twitter.
Tutto ciò
perché “il certificato di Eccellenza
viene attribuito al 10% di tutte le strutture al mondo”. Detto così sembra
che venga attributi ai migliori, ma non dovrebbe esser così visto che i
migliori sono… davvero tanti: basti pensare che il 90% delle recensioni sono
positive, il punteggio medio di tutte le recensioni di Trip è superiore al 4 su
5 e il massimo punteggio è attribuito al 47% dei commenti (secondo Nomao e
pagg. 60 e 61 di “Turismo e Reput’azione”, di R. Milano e F. Tapinassi,
Maggioli editore). Allora, hanno fatto a estrazione? Ed è possibile che ogni
volta che mi ritrovo in una riunione tra albergatori il certificato ce l’hanno
in 9 su 10?
Nella
lettera si fa riferimento ad un altro dato: “il 75% degli intervistati sostiene di essere più propenso a prenotare
una struttura approvata da Tripadvisor”. Un’affermazione questa che è anche
troppo pessimistica, immaginando che siano stati intervistati gli utenti del
Gufo J, ma è anche
populista nell’uso del termine “approvata”.
Un altro
paio di finezze vanno maliziosamente lette nella diversità grafica dei due
attestati (n.b.: facciamo riferimento alla stessa struttura ricettiva):
in quello di Tripadvisor si fa riferimento all’anno in corso il 2013
(anche se – dicono – si son basati sulle recensioni dell’anno precedente), in
quello di Booking al 2012, dando la sensazione dello “scaduto”; inoltre nel
primo si forniscono due messaggi ulteriori: la sensazione di aver vinto qualcosa e l’invito, anche se
scritto in piccolo, a visitare il sito e fare recensioni.
La
vetrofania di Booking viene invece (almeno nel caso preso in esame) portata
personalmente dall’account manager.
Giustamente di persona, col sorriso, è un’altra cosa, soprattutto se si invita
ad una maggior collaborazione e a tenere “aperte” più camere possibili. Il
problema è che questi poveri ragazzi si devono fare tutte le strutture di loro
competenza di corsa e col rischio di non trovare la/le persona/e di riferimento
disponibili. Ma comunque l’attestato che ti portano è già un oggetto dove il
portale di prenotazioni ha speso un po’ di più rispetto ad un cartoncino.
Tirando le
somme, sul terreno della promozione del proprio
brand, attraverso questi certificati, il Gufo conferma la potenza di fuoco
del proprio marketing.
A
dimostrazione, però di come tutto sia
relativo e che chi recensione ferisce, di recensione può perire, cito una
classifica di siti di recensori (da KwikChex) dove Booking si prende la
rivincita piazzandosi al 2° posto e surclassando Tripadvisor (15° posto).
Questa è una classifica che si basa su parametri qualitativi delle recensioni e
della loro affidabilità (pagg. 48-49, “Turismo e Reput’azione”, op. cit.).
Ma la popolarità - ancora - si fonda su altri criteri.
Commentate pure, meglio però se non
siete d’accordo
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